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Distinguere il vero dai sogni

  • pasoapaso6
  • 6 apr 2017
  • Tempo di lettura: 4 min

(Di seguito un mio pensiero, scritto nell'ottobre del 2014)

Abiti all'Aquila, studi qui. È da qualche ora il 6 aprile. Il 6 aprile del 2009. E’ notte. Ti stai per coricare dopo una serata tra amici. All'improvviso una scossa. L'ennesima. Sono mesi che va avanti in questo modo. Non gli dai troppa importanza, sarà una come le altre. Ma non lo è. Non lo è la scossa delle 3.32 perchè, seppur durata un minuto (un minuto, cosa sarà mai un minuto?), ha cambiato inesorabilmente la vita di migliaia di persone. Irreparabilmente di 309 di esse, e segnato per sempre le rimanenti. Forse anche la tua. Forse sei una di quelle migliaia di persone rimaste senza un tetto sopra la testa. Forse sei una delle 1200 persone rimaste ferite. O forse, semplicemente, non vivi all'Aquila. Ma la cosa non ti rincuora affatto.

Abiti all'Aquila da ormai 50 anni, da quando eri un novello sposo. Ti sei trasferito qui per amore; negli anni hai costruito una casa, una famiglia, una bottega tutta tua. Ma quei 60 secondi di quel maledetto 6 Aprile 2009 non hanno risparmiato nessuno, e ti hanno portato via molto, se non tutto. Non hai più l'età per lavorare, sei stanco, l'hai fatto per tutta la vita, ma dovrai rimboccarti le maniche comunque...i soldi della pensione non ti basteranno. Mentre tra la popolazione dilaga il panico, la disperazione e la depressione tra gli anziani tuoi coetanei, che si son visti distruggere il duro lavoro di una vita in un soffio, pensi che alla fine sei stato fortunato. Certo non sarà facile! Ci saranno momenti difficili, ma sei ancora vivo, e non è cosa da poco.

Abiti all’Aquila, hai sempre vissuto qui. Di quel famoso 6 aprile 2009 non ti ricordi molto, eri piccolo, avevi solo 5 anni. Ma lo vivi intorno a te, nel tuo quotidiano, in questa città che è rimasta bloccata a quel giorno. Come un perenne fermo immagine tra un palazzo tenuto su da travi e uno contornato da impalcature. Ormai ci sei abituato, non hai mai visto questa città come era prima, hai solo potuto viverla attraverso i ricordi dei tuoi cari. Ricordi di una città viva, rigogliosa, piena di persone, dove ancora non c'era quella disgregazione sociale che dilaga per le strade. Dove esisteva ancora un vero centro storico, luogo di ritrovo per la popolazione, e non un'unica via percorribile. Una città dove non esisteva la zona delle case fuffa, le case map, volute da un’amministrazione ed un governo che non ha tenuto conto dei reali bisogni della popolazione, che già dopo pochi anni cedono, si desintegrano, come fossero fatte di carta. Una città senza l’auditorium della musica donato da Renzo Piano, una bella opera, ma non indispensabile, a oggi senza eventi al suo interno per mancanza di fondi per pagare qualcuno che ci lavori. Una città senza il famoso aeroporto Petruro, costruito in pochi giorni per far atterrare i pontenti del G8, dichiarato inagibile subito dopo, e a tutt’oggi usato come discarica abusiva. Insomma un'altra città. Un'altra L'Aquila. Viva e non fantasma. Per te sono solo racconti, sei solo un bambino, e, anche se ti hanno portato via un pezzo di infanzia, ti basta poco per riuscire a giocare, anche tra una maceria e l'altra.

Ottobre 2014. Decidi di andare all'Aquila, hai degli amici che ci abitano. Non ci sei mai stato. È difficile immaginarsela come città, come territorio. Sicuramente ti aspetti case in ricostruzione, ma non ciò che ti trovi davanti. Arrivare, ha subito un suo impatto. Ti trovi di fronte centinaia di gru sparse per tutta la città. Come una foto ritoccata con photoshop. Non ti capaciti di quante possano essere. Ma fintanto che non inizi a vedere crepe, palazzi venuti giù completamente, vicoli immersi nell'oscurità del centro storico perchè inagibili, non ti rendi conto della situazione.

La domanda che tutti ti pongono appena arrivi è "perché siete all’Aquila?", come se una persona non potesse passar di qui per vedere lo stato attuale o il territorio circostante. Non ci credono più nemmeno loro ci sia qualcosa di attrattivo che spinga le persone a fermarsi qua. Nessuno viene qui, o qui vicino, in vacanza.

Ci hanno detto di girar per la città guardando non solo le case crollate o i palazzi inagibili, ma soprattutto cosa è stato ricostruito, i palazzi che sono stati e saranno ristrutturati. Ma non è facile, anzi, risulta parecchio difficile per una persona che viene da fuori città, figuriamoci per chi ci abita quotidianamente. In special modo quando girando per la città l'odore stantio, di chiuso e di inabitato insieme alle folate di vento, ti trasmettono freddo fin dentro le ossa. A fare foto in giro ti senti come un intruso, qualcuno che spia dal buco della serratura di una porta un qualcosa di intimo, personale. In un certo modo come qualcuno di irrispettoso con il dolore e la sofferenza di chi il 6 aprile l'ha vissuto sulla propria pelle, e ne porterà sempre segni indelebili. E allora vedi in giro vestiti, materassi semi distrutti, bambole, oggetti abbandonati dove la gente non ha più messo o potuto metter piede, un intero bagno alla mercé di tutti su una delle strade principali, come fosse un espositore di mobili...in altre parole un fermo immagine a quel 6 aprile. Un fermo immagine di centinaia di involucri senza contenuti, dove hanno retto i muri esterni, ma sono crollati completamente quelli interni. Allo stesso tempo, però, gli aquilani si sono rassegnati.....o forse è solo abitudine, a trovarsi fotografi improvvisati per tutta la città. Oppure apprezzano il fatto che queste foto verranno rese note, testimonieranno una realtà che sembra lontana ma non lo è, abbandonata da chi non l'ha vissuta e non la conosce; una realtà lasciata alla deriva.

È proprio vero, non capisci una situazione, un luogo, un posto, finché non la vedi con i tuoi occhi. E, seppur vedendola, non la capirai mai in pieno come chi l'ha vissuta. Le storie, i ricordi, i racconti, fanno i luoghi. Le persone. Le persone che anche con una situazione difficile, il dolore tangibile sempre sotto gli occhi, continuano a lottare, non scappano, ma sperano e resistono, con forza e coraggio. Un po' delusi, un po' abbandonati, un po' doloranti, un po' amareggiati da tutto e tutti, ma con della speranza, seppur nascosta. Come ricorre sui teli fuori dalle impalcature. La speranza che l'Aquila rinasca. Rinasca dalle sue ceneri, come una bella e fiera fenice. Ma non dimentichi. Non dimentichi mai.

 
 
 

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