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Prima tappa

  • pasoapaso6
  • 11 gen 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Arrivo a Saint Jean Pied de Port il pomeriggio in treno, dopo aver passato la mattina a bighellonare per Lourdes. Qui rivedo qualche faccia che era sul mio medesimo volo da Bergamo. Mi faccio apporre il primo timbro e giro un po' il paesino, dopo aver trovato dove dormire. Si respira un clima di trepitante attesa per l'imminente partenza del giorno dopo. La prima tappa. La più dura, la più lunga ( in termine di tempo), quella con il maggior dislivello, ma anche la più bella. Me la prenderò con calma, il giorno dopo, conscia che devo innanzitutto ascoltare ed ascoltarmi ( tanto che mi concederò anche un pisolino circondata da cavalli). Respiro a pieni polmoni. È il mio viaggio. Il mio cammino. Ho la libertà di fare ciò che voglio, senza pressioni esterne, senza dover tenere il passo di qualcuno. Vado del mio passo, tante persone mi superano, salutando in francese o in spagnolo. E non mi sento affatto in difetto per questo. Non è una corsa. Chi arriva per primo non vince un premio. Anzi. Strafare, poi, non è nella mia indole, e non voglio farlo. Il paesaggio è strepitoso, cerco di memorizzare tutto ciò che mi circonda, assaporando ogni carezza del vento ed ogni timido raggio di sole sulla pelle (tanto che inizierà già a formarsi quell'abbronzatura assurda in faccia data dagli occhiali). Respiro, è forse libertà, questa?

Salita. Con la scusa di far due foto mi fermo a riprender fiato. Mi affianca un anglo-irlandese, di cui non ricordo il nome. Con il mio inglese zoppicante scambiamo qualche parola. Insieme fantastichiamo su una piscina e un boccale di birra. Come me, e pochi altri (possiamo contarci sulle dita una mano), non ha le bacchette. A differenza mia, però, non le ha portate solo per una questione di imbarco all'aeroporto. Disquisiamo di cibo, di Saint Jean, di Lourdes. Ci facciamo compagnia per un po', poi ognuno prende il proprio passo, e buen camino. Tanto ci ritroveremo a Roncisvalle, tappa obbligata. Poco dopo trovo un signore a sedere nel mezzo del sentiero, e chiedo se é tutto ok. Mi risponde di si e mi ringrazia per la gentilezza di aver chiesto. Più tardi, al confine con la Spagna, un ragazzo tiene un furgoncino per "rifocillare" i pellegrini di passaggio. Scopro che è anche il pastore di quella valle di pecore che abbiamo incontrato salendo. Un pellegrino inizia a tartassarlo di domande: quante persone passano al giorno, in quanti si fermano, quanto spende in media una persona e alla fine afferma, convinto "sono in pensione, mi dai 2.5 euro al giorno e io vengo ad aiutarti." Il ragazzo rimane basito ed alquanto imbarazzato. Arrivano 3 biciclette: italiani. Hanno una maglietta uguale con scritto "distrophy muscolar la duchenne". La distrofia muscolare che colpisce i bambini. Portano in giro una buona causa "sul cammino per fermare la duchenne". Conoscono questa malattia grazie al bimbo di un amico comune. Hanno due settimane a disposizione per fare il loro cammino e far conoscere la loro iniziativa. Ci ragiono qualche minuto, dopo di che foto di rito mentre uno di loro mi consegna una spilletta e mi salutano, riprendendo a pedalare. Spilla che attaccherò al mio zaino e che mi accompagnerà per tutto il Camino.

Sono belli anche questi incontri, di qualche minuto, incontri di passaggio, casuali, fortuiti, ma che ti lasciano dentro qualcosa. Sorrido. Riprendo a camminare.

 
 
 

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